LUNARIO PARMIGIANO

giugno 2012

 

Lunario parmigiano

Zuggn

Par San Pédor al fér da médor


 

LE IPERBOLI DI FLORO DETTO “BARBIZ”

 

Muratore langhiranese arguto, originale, diverso, intelligente, folle. Di lui si ricordano e raccontano decine di episodi esilaranti. Solo qualche esempio del suo linguaggio zeppo non solo di iperboli, metafore, similitudini iperboliche, ma tendente ai barocchismi estremi degni talvolta di Gongora e dei suoi seguaci.

Barbizabitava sulla strada ripidissima e tortuosa che da Langhirano conduce alla frazione di Mattaleto. Su quella strada il dottor Cozza, sempre di fretta e in ritardo, transitava a tutta birra con la sua “500” per andare a visitare i molti malati che curava in zona. A rimetterci letteralmente le penne erano, sulla maledetta curva dove si trovava la sua casa, le galline di Barbiz regolarmente travolte dal medico frettoloso.

Barbiz alla fine non ne poté più. Si mise un mattino sulla strada e costrinse la “500” a frenare e fermarsi sollevando un polverone. Attaccò così:

Dotór, ch’a t’ véna tant acidént con cuanti virgoli a s’ pól fär con un bastimént äd matiti…”

·         S’a t’attarcord al nòmmdla to méstra ‘d prìmma e ‘n t’ pu indò t’è miss la  machina

a t’si in pjénna arterio sclerosi.

·         Se vón ‘d sant’an’ al diz ch’al se sénta cme vón ‘d trenta

l’é béle vóra ch’al comincia la cura…

 

 

IL VERNACOLO – DA “ELOGIO DEL DIALETTO” DI R.PEZZANI

 

“…Il vernacolo non è soltanto linguaggio rusticale di una contrada, ne è il colore e il sale. E' l'idioma domestico destinato a improntare per sempre sulle nostre labbra di inconfondibili flessioni e cadenze la lingua nazionale...Se il linguaggio nazionale è un tesoro che si guadagna nell'esercizio della scuola e nella pratica di un gusto e d'una inclinazione, il dialetto ce lo troviamo nel sangue e sulla lingua come l'uccello il canto…."

 

1617 - Giunge a Parma l'illustre Architetto B. Aleotti. Vi rimarrà fino a marzo 1618. Trasformò

la Sala per esercizi di scherma e la pratica delle armi, realizzando il Teatro Farnese in Pilotta. Il

Teatro è delimitato da un’ampia gradinata coronata da due ordini di logge per gli spettatori. Il

Teatro Farnese fu inaugurato solennemente nel 1628.

 

 

SIGNIFICATO DI ALCUNE PAROLE POCO USATE

 

Sibrón: (scarpe grosse) - Géngla o génglenna: (uova dei pidocchi) - Pia la brónza (si dice di  persona che accende la discussione poi scompare) - Boridola (gioco in cui si lanciano in alto figurine o monetine) - Fär i simitón (farsi desiderare) - Sméli (detto a persona svelta) - Gudass (padrino della cresima. È interessante notare che a Modena si dice Guidas da guida. Il padrino infatti deve aiutare i genitori a “guidare” il giovane) - Nózi goghi   (Grosse noci “matte”, non commestibili) - Sonzé  (parte grassa dei suini e non soltanto. È la parte che fornisce il miglior strutto)

(Luciano Porcari)

 

ANNIVERSARIO

ODOARDO FARNESE  (1612 – 1646)

Ricorre quest’anno il quattrocentesimo anniversario della nascita di Odoardo Farnese. Quinto Duca di Parma e Piacenza dal 1623 al 1646. Sotto la tutela della madre Margherita Aldobrandini e dello zio, il Cardinale (suo omonimo) Odoardo Farnese, succede al Ranuccio all’età di soli 10 anni. Appena quattordicenne governa già direttamente il Ducato e progetta un piano ambizioso per conquistare il Milanese e la corona di Re. Sconfitto nel 1637 dagli Spagnoli, rivolge le sue mire su Napoli, ma anche questo progetto fallisce per il mancato appoggio del Papa (1639). Tre  anni dopo mise guerra ai Barberini e a Urbano VIII°  che avevano cercato di togliere ai Farnese la fortezza di Castro. Durante la sua ducea si registra la grande peste  che nel 1630, fra Parma e Piacenza, farà circa 130 mila vittime. Il suo matrimonio con Margherita de’ Medici sarà al centro di imponenti manifestazioni di giubilo e il teatro Farnese ospiterà grandiose feste con musiche di Monteverdi, caroselli di Cavalieri e inondazione della platea.

 

CME SA FUSS ADÉS - LA CASTAGNÉN’NA

La castagnénna l’era vestida äd nigor a cominciär dal fasolètt d’incò finn’a aj supè. D’ogni tant l’infilsäva ‘na man sotta al scjal, la scarugäva un po’ e la tiräva fórana tabachéra lusstra cme chisà a fòrsi äd dróvärla. La l’arviva, la n’in ciapäva su un psigotén con du did e po’, cól did gros, la s’al carcäva su pr’i buz dal näz. D’ogni tant, cól fasolètt la s’ sugäva ‘la gòssa e po’, par tutt al témp, la seguitäva a fär vént cól scarmaj. La ghäva sémpor la grénta. L’an soridäva gnans’la vinsäva al lot, mo dal so’ fogón, nigor cme le, gnäva fóra un profumm ch’al limpiva tutt al borogh e ‘l riväva fin’na in cél. Sa stricch j’oc’; al patonén, la bombonénna e la castagnénna a j’a vedd ancòrra li davanti al portón äd la scóla cme si fuss’n ancorra lì, cme sa fuss adés. (A.Me)

 

 

 

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