STORIE, ANEDDOTI E BATTUTE
a cura di Giuseppe Mezzadri

DIVAGAZIONI SULLA POLENTA


Nevica in piazza Garibaldi

 

In Italia l’utilizzazione del mais nella dieta umana, sotto forma di polenta, un tempo era assai diffusa. Diffusa anche troppo perché i più poveri mangiando praticamente soltanto polenta o quasi, erano soggetti alla pellagra a motivo del fatto che i mais di un tempo mancavano di nutrienti importanti. Quelli di oggi, frutto di incroci sapienti, sono più completi e non provocherebbero più la temuta malattia.

Nonostante tutto la polenta merita riconoscenza perché ha sfamato milioni di persone.

“Polenta” è una parola latina. Apuleio ci ha lasciato la testimonianza di una “polenta caseata”, cioè condita con formaggio. Ovviamente si trattava di una polenta fatta con grani diversi dal mais, come il grano saraceno ad esempio, perché il mais ci è pervenuto dall’America.

COME SI MANGIAVA

La polenta si mangiava in diversi modi. La migliore risultava quella condita “consäda” ma non sempre era possibile. La polenta non condita o “sconsa” veniva anche chiamata “polenta sorda” . Il termine deriva, con ogni probabilità, dal latino “sordidus” che significa anche “squallido” e “povero”. Spesso veniva abbrustolita nel camino e risultava ottima specialmente nel latte nonostante si sporcasse di cenere. Racconta mia cugina che il giorno in cui si era lamentata con sua mamma perché la polenta si era sporcata di cenere ebbe questa risposta:

“Fa miga gnent, primma ‘d morir bizzogna magnär tri sach ‘d sèndra”.
(Non fa niente. Prima di morire bisogna mangiarne tre sacchi)

A proposito di polenta scondita c’è una simpatica storiella. In una famiglia si mangiava la polenta cercando di insaporirla strofinando, a turno, ogni fetta di polenta contro una saracca (aringa sotto sale). Una fetta, una strofinata. Ad un certo punto uno dei commensali strofinò la sua fetta per due volte. Il capo famiglia lo redarguì dicendo

“Co’ vot carpär ?” (v uoi crepare ?)

Mia mamma, quando rovesciava la polenta sul tagliere dove l’avrebbe condita, o meglio sporcata di conserva, immancabilmente esclamava:

“Ecco la béla chicón’na, dólsa e bónna”.

Nei borghi dell’Oltretorrente girava un tempo una famosa venditrice di polenta, la “Firmina”, che ogni pomeriggio, verso le quattro, usciva in strada col paiolo in mano e avvolta in una nuvola di vapore rovesciava la polenta su di un tagliere sistemato sopra un carretto da ortolano, gridando:

“strabucca la polenta donni”. Si accontentava di poco e gli avventori non mancavano.

La polenta era uno dei cibi più economici ma non sempre ce n’era in abbondanza.

Mi diceva Maria Godi, un’anziana signora di ottant’anni, che nel suo sussidiario delle elementari c’era un disegno in cui si vedeva la mamma con quattro bambini attorno che stava facendo “le parti” della polenta e la didascalia recitava:

“Il còr giammai guidò mano più attenta di quella che divide la polenta”.

Se non sempre di polenta c’era abbondanza figuriamoci di condimento.

Raccontava mia mamma che un giorno un suo fratello andò in un fondo vicino a dare una mano per alcuni lavoretti. Erano contadini benestanti che lavoravano molto ma in compenso godevano di una relativa abbondanza. La padrona di casa, la signora Lisa, trattenne a pranzo il ragazzino il quale, quando alla sera tornò a casa, disse alla mamma:

"Vu mama an si miga bón'na äd fär da magnär. La siora Liza int la polenta la gh' metta al formaj anca int i spigh !."

(La signora Lisa, sulla polenta, mette il formaggio anche negli spigoli). La madre gli sorrise e sospirando mormorò:

"Al me ragas, sariss bon'na anca mi !"

E’ evidente che erano i più poveri che mangiavano sempre polenta e non era cosa di cui si vantassero come ci fa capire anche la vecchia storiella di quel bimbo che, alla maestra che tutte le mattine chiedeva ai ragazzi cosa avessero mangiato, si lamentava con la madre perché lui doveva sempre dire “polenta” e se ne vergognava. La madre gli suggerì, per il futuro, di rispondere “minestra” anziché “polenta”. L’indomani il ragazzo rispose “minestra” ma la maestra, contenta della novità e volendo rimarcare il fatto disse: “Molto bene e dimmi quanto ne hai mangiata ? “ Do fètti”.

In Brasile ho conosciuto una anziana signora di origine italiana che mi raccontava di come fossero stati duri i primi tempi del loro arrivo in quella terra. Mangiavano “polenta, radicci e un ovo cada du” (polenta, radicchi e un uovo ogni due persone). Raccontava che tutte le sere recitavano il Rosario inginocchiati. Le ho chiesto se i suoi figli lo recitano ancora il rosario “inginocchiati”. Mi ha risposto: “Nemmeno da seduti. Ora hanno automobili di importazione”.

Anche da noi le cose non vanno meglio. Ora la polenta si mangia soltanto se e quando se ne ha voglia. Possiamo scegliere le pietanze che prediligiamo. Siamo diventati tutti più ricchi.

Logica vorrebbe che ci fosse da parte nostra una maggiore riconoscenza per il Padreterno invece sta succedendo esattamente il contrario. E, cosa ancor più grave della mancanza di riconoscenza, c’è una sempre maggiore indifferenza.

 

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