STORIE, ANEDDOTI E BATTUTE
a cura di Giuseppe Mezzadri


GIORGIO SACCÒ
IL BARBIERE DEI VESCOVI, HA CHIUSO BOTTEGA

 

    Giorgio Saccò, barbiere per 65 anni in borgo Delle Colonne, dove nacque 75 anni fa, ha chiuso bottega a fine dicembre 2008. Con questa chiusura il quartiere ha perso un “pezzo” prezioso. Una memoria storica importante. Giorgio, come si addice ad un barbiere, amava chiacchierare e fare salotto. Lo faceva però senza essere invadente. La sua bottega era un ritrovo di amici, un punto di riferimento. Spesso era lui il primo ad essere al corrente di un ricovero o di una malattia di un amico o di un conoscente comune e passava parola. Conosceva tutti gli abitanti vecchi e nuovi del rione ed era piacevole ascoltare le sue rievocazioni di fatti e storie dei borghi. Godeva di buona stima e non era raro che gli portassero abiti o scarpe, magari di un defunto, perché lui sapeva a chi darli.

Giorgio lasciava che Ninetto, figura caratteristica del quartiere, poco fortunato nella vita, specialmente d’inverno, frequentasse la sua bottega. Quando era al verde veniva a sedersi da Giorgio e al primo cliente che aveva fretta offriva il proprio posto in cambio di un bicchiere. Il cliente, di solito, stava al gioco.

Il suo “pedigree” di parmigiano è di prim'ordine. Discende dai Saccò che avevano, come era costume,  un soprannome che valeva per tutta la famiglia; "Tri golètt". Suo bisnonno faceva il calzolaio in borgo Guazzo e suo nonno, che abitava in borgo del Naviglio, era facchino alla "Piccola". La nonna faceva la lavandaia e lavava i panni sul canale Naviglio, ora coperto, che correva lungo viale Mentana, nella zona dove c’era il Consorzio Agrario. Avevano 21 figli e i più piccoli dormivano nei cassetti aperti del comò. Il padre, a differenza di alcuni fratelli che diventarono facchini, scelse di fare il barbiere per circa quarant'anni ebbe bottega in borgo Delle Colonne. La stessa che lasciò al figlio.

Giorgio annoverava tra i suoi clienti abituali il vescovo mons. Benito Cocchi e parecchi altri consacrati: benedettini, salesiani e francescani. tra sacerdoti e monaci. Al vescovo Cocchi piaceva scambiare due chiacchiere e Giorgio non si faceva pregare. Probabilmente per il vescovo era un’occasione per ascoltare l'opinione della gente. Infatti, più che parlare, amava ascoltare e fare domande.

Anche il suo successore, mons. Cesare Bonicelli, era suo cliente. (Negli ultimi tempi lo serviva a domicilio). Ricorda un giorno in cui era venuto a farsi tagliare i capelli. C’erano diversi clienti che, già a conoscenza della sua malattia, gentilmente, s’informarono del suo stato di salute. Il vescovo minimizzava i suoi disturbi: “Solo un poco di stanchezza”. Nella discussione intervenne un cliente che disse di soffrire di due malattie gravi. La prima, spiegò, era la “pressione alta”. Il vescovo commentò che non era cosa da sottovalutare, ma che si trattava di una malattia che ormai si poteva controllare bene. Il “malato” convenne che, in effetti, quella si poteva curare ma, per la seconda, spiegò che la cura era molto più difficile. Tutti i presenti vollero sapere quale fosse ed egli spiegò che si trattava di “pensione bassa”. Tutti risero compreso il vescovo che commentò: “É  proprio un teatrino”.

Anch’io frequentavo volentieri la sua bottega perché si sentiva parlare un bel dialetto e le battute non mancavano. Ricordo, ad esempio, un giorno in cui egli stava  tagliando i capelli ad un giovane che aveva voluto un taglio moderno, di quelli più strani. Mentre stava uscendo, il barbiere, gli raccomandò: “Si te dmandon chi t’ à tozè, miga dir ch’a són stè mi parchè a gh’ò vargòggna”. (Se ti chiedono chi ti ha tosato non dire che sono stato io).

In un’altra occasione capitai quando aveva riaperto negozio da pochi giorni, dopo la chiusura di ferragosto. Entrò Salvo, un anziano signore, che era stato un  barbiere della zona, il quale gli chiese:

"In do' sit stè Giorgio, ch'a són pasè e gh' era sarè ?"
(Dove sei stato che sono passato e c'era chiuso ?)

"Són stè al mär"
(Al mare).

"A fär ?"
(A fare ?)

"A fär al bagn"
(A fare il bagno).

"An n' ävot miga pu basta äd la sojóla ?!"
(La sojóla è il bigoncio dentro il quale facevano il bagno coloro che non avevano la doccia o la vasca.)

Un altro giorno la lettura di un articolo della Gazzetta, in cui si parlava dello scoppio di uno scaldabagno, aveva avviato in bottega una discussione sulla sicurezza. Si parlava dei vari pericoli che sono sempre in agguato e Fedele, che teneva banco perchè di mestiere faceva l'idraulico, sentenziò:

"A me fa sempre più paura il gas dell'acqua".

"A mi a m’ fa paura bombè anca l' aqua", disse Pelù, simpatico personaggio per il quale gli amici, quando era giovane, avevano coniato il detto: “Dove passa Pelù il vino non c’è più”. Siccome venne guardato con incredulità, io, per dargli man forte, recitai un vecchio detto di mia mamma:

"Con l'aqua l'é un brut questionär che a l' insù la ne gh vól andär". (Con l'acqua è brutto litigare perchè all'insù non vuole andare).

Giorgio ha promesso che si farà vedere spesso nel nostro rione. È meglio di niente ma non sarà più la stessa cosa.

       
            Giuseppe Mezzadri

 

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