STORIE, ANEDDOTI E BATTUTE
a cura di Giuseppe Mezzadri

PERSONAGGI PARMIGIANI
 


Chiesa dell'Annunziata

 

Ricordo di Ettore Guatelli

 

Ho avuto il privilegio di godere dell’amicizia e di frequentare, seppure saltuariamente, Ettore Guatelli, il noto fondatore del Museo della civiltà contadina di Ozzano Taro. Era un tipo un po' fuori dagli schemi che, come diceva lui, ha fatto anche il maestro. Quella di fare il maestro è stata, più che altro, una necessità. Era un ragazzotto quando il medico esortò suo padre: "Còll ragas lì al né pól miga fär al paizàn, mandìl a scóla putost." (Non può fare il contadino, mandatelo a scuola).

E così Ettore divenne maestro elementare. Fatto su in un qualche modo, "basta ch'sìa" (da poco) come diceva lui, perché studiò come potè. Da privatista. Ebbe come maestro anche il poeta Attilio Bertolucci che influì non poco sulla sua formazione e con il quale era rimasto in amicizia.

Egli faceva ai suoi ragazzi un tipo di scuola in anticipo sui tempi cercando, fra l'altro, di valorizzare le tradizioni popolari e specialmente il dialetto che la scuola di allora era impegnata a sradicare. Non era tutta intuizione: gli veniva naturale, anche con i genitori, di parlare in dialetto per metterli a loro agio. Forse avrà esagerato un tantino se alcuni di questi si erano convinti che parlasse in dialetto perché non conosceva altro. Un giorno infatti, accostandosi ad un capannello di mamme che parlavano con la bidella, fece in tempo ad udire quest'ultima che diceva loro:

"Mi l'ò sintì, al méster Guatél al sa anca l'italiàn."

Ettore ritenne utile intervenire e disse loro:

"Donne, se vi dico che siete "ipodotate", voi cosa ne pensate?"

Nessuna aveva capito cosa volesse dire e stettero zitte.

"A v'ò ditt ch'an capì njént. Vedete cosa succede se parlo in italiano ?"

Fin da giovanotto amava frequentare i raccoglitori per comprare utensili e cose varie da riutilizzare, ma anche, evidentemente, perché ne subiva il fascino. A volte, quando raccoglieva certe cose, la gente si stupiva.

"Mo anca coste a gh’ fa gola?" (anche questo le fa gola?).

"Inizialmente", diceva,"tutto si fa per la gola, senza sapere di quei perché che si chiariscono man mano, fino alla consapevolezza".

In realtà non è vero che "è stata principalmente la gola" a spingerlo a realizzare la sua raccolta, ma piuttosto la sensibilità, la curiosità, il rispetto per la gente e il suo lavoro e l'amore per gli oggetti, anche i più umili, che sanno parlare. Basta capirne il linguaggio. Amava citare San Benedetto che diceva ai suoi monaci: “Suppellettili e arnesi di lavoro si considerino come gli oggetti sacri dell'altare".

Guatelli, ha spiegato ampiamente, tramite libri e conferenze, le motivazioni che lo hanno condotto a mettere in piedi la sua notevole raccolta. Un giorno, però mi dette una spiegazione nuova e spiritosa:

“Mi coräva ‘drè al ragasi mo lór  i scapävon e alora ò comincè a corror adrè a dil còzi ch’in scapävon miga”. (Rincorrevo cose che non scappavano come le ragazze).

     Pochi mesi prima che morisse, invitai Ettore a partecipare alla manifestazione “Cantine aperte” che si svolgeva ad Ozzano presso l’azienda “Monte delle vigne”.  Egli aveva voglia di fare una chiacchierata e accettò volentieri, sebbene si sentisse stanco, a patto che andassi a prelevarlo a Riccò nel locale dove c’era una mostra di radio d’epoca. Mi chiese se sapessi che aveva un tumore in stato avanzato. Annuii e ricordando le nostre discussioni sulle “cose ultime”  gli chiesi se si sentisse pronto. Rispose che lo era. Non ebbi il coraggio di approfondire ma penso che lo fosse perché era molto sereno. All’arrivo presso la cantina, la signora Elisabetta, padrona di casa, conoscendo la sua situazione, lo abbracciò con molto calore. Ettore non rinunciò ad essere Ettore e le disse: “Veh, va pian puten’na ch’a gh sént ancòrra”.

Di ritorno a Riccò ci eravamo seduti un momento al bar quando, al nostro tavolo, si avvicinò un signore che lo salutò come un vecchio amico. Ettore però, come gli capitava spesso a motivo della vista non perfetta, non riusciva a ricordare chi fosse. L’amico gli disse:

“A m’ conosot pù? Ettore a t’ si gnù vec!”.

Ettore, con una calma da vecchio saggio, gli rispose:

“Bisogna sapersi accettare con i propri limiti. Ormäj coll ch’a gh’é restè, d’Ettore, l’é tutt chi” (ormai quello che c’è rimasto, di Ettore, è tutto qui).

 

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