STORIE, ANEDDOTI E BATTUTE
a cura di Giuseppe Mezzadri

LEZIONI DI DIALETTO
  IV  lezione


Palazzo degli anziani

QUARTA LEZIONE
Enzo Terenziani

MASCHERE E CARNEVALE A PARMA

LE MASCHERE


Le cronache del Pezzana parlano di due maschere, tale VELO di MONTANO e sua moglie, che girovagavano nel sec. XV per le vie di Parma travestendosi in svariate fogge e divertendo il popolino. Si tratta però di due macchiette del genere di quel Biagio ZIVERI, detto «Plugär», di professione lavandaio, abitante in borgo del Naviglio, che nel secolo scorso, camminando su alti trampoli di legno, sollazzava con frizzi i monelli nel tempo di carnevale.


Nell’ ‘800 compare per la prima volta il «Dsèvvod» (in dialetto significa «insipido»). Secondo il Malaspina il «Dsèvvod», maschera ufficiale di Parma, è sempre stato il «domestico semplicello ma arguto». Si trattava in realtà di un popolano furbo che fingeva di esser tonto «par ne pagär dasi». (per non pagare dazio, cioè per farla franca). Ne danno notizia la «Drammatica parmigiana» del Bocchia e la Gazzetta di Parma del 24 gennaio 1870. Il suo «look» tradizionale è costituito da un giubbetto a vita con baschetta, pantaloncini corti, calze, scarpette e tricorno in testa. I colori, naturalmente giallo ed azzurro a quartieri sovrapposti .

A.Barilli, nelle sue «Storie grandi e piccine», descrive il «Dsèvvod» :«Vecchia maschera parmigiana insipida di nome e di fatto, rimasta sempre un fantoccio incapace di farsi amare perché nessun poeta si degnò di cantarne le gesta».


Dal punto di vista umano è forse più interessante il «Battistén Panäda», la maschera creata dal Galaverna.

Nel 1845, ad opera di Paganino, fu stampato il giornale e lunario «Al matrimonni dal Dsèvvod», che p. Luigi Grazzi definisce: «Lunario superbamente impaginato in bianco e nero, senza figure o vignette».

A questo punto citeremo solo «en passant», le nostre tradizioni nel campo del teatro dei burattini, assurto a vera e propria forma d'arte: vedi le maschere di "Bargnocla" e «Sandron» portate alla notorietà dai mitici Ferrari, ai quali si affiancarono poi altri burattinai.

 

IL CARNEVALE

A Parma ha origini remote anche se, come accade in questi casi, è quasi impossibile darne una precisa datazione.

Si può forse ragionevolmente far risalire i primi carnevali a Parma al sec. XVIII, in cui compaiono le prime Grida Ducali per regolarne lo svolgimento.

Nel ‘700 e ‘800 il Carnevale iniziava il venerdì della settimana antecedente la Quaresima per esplodere con un gran finale il martedì. Del primo Carnevale a Parma si ha notizia il 13 febbraio 1711 con la rappresentazione di un’opera , intitolata «BEDARIDO», messa in scena dai convittori del Collegio Ducale.

Nel ‘700 ben 4 teatrini aprivano le porte ai veglioni di Carnevale: il «Sanvitale» (in borgo del Leon d’oro), il Collegio Lalatta, quello di S,Caterina o dei Nobili e quello dei marchesi Bergonzi in borgo S.Giovanni. Più tardi, dopo l’edificazione dell’attuale teatro Regio e partendo quindi dal 1828-9,  ebbero inizio in quell’edificio i Veglioni mascherati passati alla cronaca cittadina come avvenimenti importanti ed attesi con trepidazione.

Durarono fino agli anni ’30. Durante il Carnevale, alle tre pomeridiane, venivano organizzati i cosiddetti «corsi di carrozze», protetti da un grosso drappello di Dragoni a cavallo lungo la strada S.Michele, a guardia degli sbocchi delle strade laterali per impedire eventuali disturbi. Ecco alcune tra le più significative «Grida» che ci permettono di entrare nella spirale dei confini entro la quale i festeggiamenti del Carnevale potevano svolgersi:

3.2.1720 –Il governatore proibisce alla generalità dei sudditi di presentarsi in luogo pubblico, durante il Carnevale, mascherati, travestiti o truccati.

17.7.1728 – Il Governatore, in occasione delle nozze del Sovrano, concede facoltà di mascherarsi nei giorni e nelle ore stabiliti, con la proibizione di indossare indumenti ecclesiastici, di portare armi e tenere comportamenti atti a provocare risse.

26,1.1743 – Il Governatore rende noto che è permesso l’uso della maschera per recarsi ad assistere all’opera musicale solamente nel vicolo che conduce al teatro Regio, con il lume e senz’armi.

28.2.1775 – Avviso penale contro quelli che la mattina delle ceneri ardissero entrare nelle chiese in abito di maschera…….

Ogni pretesto serviva ai parmigiani per «festeggiare qualcosa», per dar modo di «evadere» dall’abituale grigiore da cui, nei secoli scorsi, erano circondate le classi sociali meno abbienti. Luoghi di normale ritrovo erano le osterie: quante ve ne erano a Parma e con caratteristiche differenziate ce lo racconta Aldo Emanuelli (Le «osterie parmigiane») : locali in cui si mangiava, si vuotavano «turädi» (bottiglie) bevendo nei caratteristici «scudlén» e si cantava (canzoni popolari, romanze liriche ecc.) accompagnandosi con chitarre, mandolini e fisarmoniche.

Cosa rimane oggi dei divertimenti di una volta ? Scomparse le osterie; trascurate di fatto le celebrazione carnevalesche, scomparse pure le maschere e anche le «macchiette» un tempo così numerose a Parma da ispirare numerosi cronisti di storia patria, si può dire che nulla è rimasto dei divertimenti che caratterizzarono secoli di «savoir vivre», pur nella miseria affrontata con animo forte e con tanta allegria, che da noi si sintetizza nella frase burlesca: «Si mangia poco ma, di contro, si ride tanto».

 

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