STORIE, ANEDDOTI E BATTUTE
a cura di Giuseppe Mezzadri

GALLERIA DI PERSONAGGI PARMIGIANI


I Ferrari burattinai

GINO PICELLI

Ho conosciuto l’oste Picelli circa 25 anni fa quando facevo le ricerche per il mio libro “Apenna da biasär”. Il testo che segue è tratto appunto da quel libro

Mi colpivano particolarmente, di lui, la schiettezza e la facilità di battuta.

La filosofia

“Mi sarniss al client, i bulòtto äd Pärma in borogh Marodol j àn capi ch'a tira 'na brutt'aria.
(Io scelgo il cliente e i bulli hanno capito che tira una brutta aria)

Dedchi j èn passè tutti e tutti j àn fat pitè, dal primm a l'ultim, i pù bej, i pù brutt e i pù fort.
(Da qui sono passati tutti e tutti hanno fatto cilecca)

Primma an s' era miga ‘csi; son dvintè prepotent a fär l'ost.”
(Prima non ero così)

Con queste parole Gino Picelli spiega quale sia la sua filosofia professionale di oste.

Gino, classe 1928, è un oste di vocazione tardiva e pertanto convinta. Vent'anni fa infatti egli abbandonò il suo mestiere di pavimentista per dedicarsi all'osteria di borgo Marodolo di cui rilevò la gestione.

Dette al locale il nome di « OSTARIA DUCALE PARMA VECCHIA » e si dedicò con passione al suo lavoro.

Lo stile di Picelli è stato quello di creare un locale dove si trovassero bene e a loro agio tutti coloro che amano Parma, la buona tavola e l'amicizia. Non tollera i bulli e gli ubriachi che infastidiscono. Ormai è una cosa risaputa nell'ambiente e di norma il suo locale è schivato dalla clientela indisciplinata.

Ogni tanto qualcuno ci riprova, ma Gino è inflessibile e spiega loro molto chiaramente:

“Ragass a podi 'ndär parchè chi morì dala sèi .”
(Ragazzi, potete andare a casa perché qui morite di sete)

Amore per Parma

All'arredamento del locale Gino ha dato un'impronta personale.
L 'osteria è praticamente tappezzata di quadri, fotografie e sculture che hanno per soggetto la lirica e Parma.

« Ai me fiò gh'ò dè 'l patrimonni äd vrer ben ala genta e 'd vrer ben: a Pärma », dice.
(Ai miei figli ho dato l’insegnamento di volere a Parma e alla gente)

Questo amore per la sua città traspare sempre dai suoi discorsi e nel suo modo di agire.

« Parma la s’rà volgara int'al dialett; mo l'è generosa e bela » aggiunge.

Egli sostiene che a suo parere la generosità dei parmigiani col passare degli anni non è venuta meno e pensa che non morirà mai, a patto  naturalmente, che si insegni ai giovani a continuare questa tradizione e a coltivare questa dote che non è monopolio nostro, ma che la città possiede nella propria tradizione.

racconta che quando era in Francia per lavoro a chi gli chiedeva:

“Sei Italiano?” egli rispondeva: « No, a son äd Pärma ».

La cucina tradizionale

Nelle osterie di un tempo la cucina era molto importante. Si cominciava al mattino con i “brodini”, a mezzogiorno il pranzo e per tutto il resto deIla giornata c'era sempre a disposizione un piatto di busecca.

Gino è diventato uno specialista nel preparare la busecca, che cucina secondo i canoni più tradizionali, una volta la settimana, a circa 30 chili per volta.

Il lunedì, giorno che Gino dedica alla preparazione della busecca, per otto ore è  irreperibile. Pulisce, taglia, sgrassa tutto il giorno e verso sera comincia a farla bollire assieme a tutte le verdure. Il martedì l'enorme pentolone continua a bollire con il prezioso contenuto, mentre il mercoledì serve al riposo e alla « maturazione » della busecca, che è pronta per essere servita il giorno dopo, cioè il giovedì.

Molto amici di Gino e della sua busecca sono un gruppo di orchestrali della RAI di Torino che fanno scalo in borgo Marodolo tutte le volte che riescono a sostare a Parma, il che accade tutti gli inverni, in occasione dei concerti di Mozart a Bologna e Firenze.

Il segreto

Un altro cliente affezionato della trippa di Gino è il cantante lirico Giuseppe Valdengo, un uomo che porta in giro i suo 67 anni nei teatri di tutto il mondo. In occasione di una serata passata in compagnia di amici, in borgo Marodolo, con un menù che prevedeva trippa, cotiche e sanguinaccio, arrivati al caffè, egli richiamò l'oste e gli disse: 
« Gino ti offen
di se al posto del caffè prendo un'altra trippa? ».

Altre specialità di Gino sono: i gnocchi, le cotiche coi fagioli, il sanguinaccio e una pastasciutta con un ragù segreto che i suoi clienti da dieci anni continuano ad apprezzare, e per primi, pretendono che non venga

cambiato. « Al segret », dice, « L’ é fär bojjor la roba ». (Il segreto è far bollire la roba)

La moglie, invece, la simpatica signora Luisa, si interessa del minestrone che preparara con la pestata di lardo.

Il Capuccino

Gino conserva il locale nella più genuina tradizione di osteria e perciò bandisce le ricercatezze e le cose sofisticate. Pochi piatti ma ben curati. Un giorno, ad esempio, entrò un avventore e chiese una cioccolata in tazza. 

« Cme s' fa a färla? » (Come si fa a farla ?) 

gli chiese l'oste un po’ per celia e un po’ sul serio.

Al cliente in imbarazzo Gino spiegò poi candidamente:
 « Al m'à da scusär
mo' la cicolata an gh'l ò miga. Al capirà, i me clienti i vol’n al capusen col ven inveci che col lat! ».
(Mi deve scusare ma la cioccolata non l’ho. Capirà, i miei clienti, il capuccino, lo vogliono con il vino anziché col latte)

Il muratore

Le battute non gli mancano. Un giorno un muratore gli fece osservazione sui bicchieri 

« Gh'ät miga i bicer col manogh? » (Non hai bicchieri col manico ?)

 « Al manogh agh  l'à al badil » (Il manico l’ha il badile) rispose Gino « A n' ät miga vu basta? ». (Non ne hai avuto abbastanza ?)

A Parma, per una ragione o per l'altra, ogni tanto si gira un film.
Sono in parecchi i parmigiani , a vari titoli, ma soprattutto come comparse, vi partecipano.
Uno di questi è Renato detto « il Sceriffo », che figura nel cast dell'ultimo lavoro girato a Parma: l'opera televisiva « Giuseppe Verdi ».

Una sera Renato era da Gino Picelli dove, in mezzo ad una compagnia rallegrata da qualche bicchiere di lambrusco, raccontava i particolari della propria carriera artistica in termini molto lusinghieri.

Il detto che « il cliente ha sempre ragione » vale anche per Gino, ma non al punto da impedirgli di dire una buona battuta. Sentendo Renato vantarsi tanto gli disse:

« T'é da esor un bel dramatich, ti. At dovriss fär l'artista äd profession »..

 « Parchè co’ te davIz ch asIa ? » (perché, cosa pensi che io sia?)

« T'é 'n ambisioz miga da riddor » ribattè Gino.

« Si, mi son anca ambisioz mo d'artista cme mi a Pärma a n’ gh'n'é gnan von! » 
(Sono anche ambizioso ma artisti come me a Parma non ce n’è nemmeno uno) rispose Renato.

« A t gh'è ragion! ». Sät co' t’ dovriss fär ti? Andär a “vino hollywood” cme i divo a mètter zo l'impronta dal scudlen! ».
(Hai ragione, sai cosa dovresti fare ? Andare a “vino-hollyvood” come i divi e mettere l’impronta dello “scodellino) (Nello scodellino si beveva il vino)
Questi "consigli" non sono da prendere sul serio. Mi servono per elencare una serie di detti elaborati da un mio cugino che possiede un talento naturale per la filosofia.
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